Vietnam 1967. L’operazione Rolling Thunder, la campagna di bombardamenti aerei sul Nord cominciata nel 1965, è nel suo vivo. Le perdite di aviogetti statunitensi per opera della caccia avversaria e dei sistemi missilistici da difesa aerea, però, preoccupano i comandi americani e scatenano l’amara ironia dei piloti.
Il caccia F-105 “Thunderchief” viene infatti ribattezzato “Thud”, voce onomatopeica che esprime il rumore sordo di un tonfo prodotto da un corpo pesante che cade, perché nel corso di quel conflitto il raggiunse ad pervidi il raggiunse ad Mig avversari. Il Thud, sulla carta, era bene armato ed era uno dei pochi velivoli con in dotazione un cannone M61A1 Vulcan per l’autodifesa, ma il problema era la sua scarsa manovrabilità, e quando i Mig Nordvietnamiti, invece la pittare classic e scappa”, si intrattenevano per ingaggiarsi in un combattimento aereo manovrato, erano guai. L’F-105 era pesante, con un peso massimo a pieno carico di quasi 24 tonnellate che era più del triplo di quello di un agile Mig-17 e oltre il doppio di quello di un Mig-21: era infatti soprannominato anche “slitta di piombo”. Più di tutto il Mig-17 aveva un raggio di virata pari a circa un terzo di quello del Thunderchief, a seconda della temperatura e della quota. Risultato: quasi un’ecatombe di Thud.
Caccia “tutto missili”
Se il Mig-17 era un velivolo obsoleto già in quegli anni, così non lo era il Mig-21, apparso da poco nei cieli del Nord, e la sua presenza metteva in crisi la supremazia aerea statunitense. C’era infatti un limite, dato dalla natura stessa dei velivoli americani: i caccia, come il famosissimo F-4C Phantom, non avevano un cannone interno ei piloti si erano disabituati al combattimento aereo ravvicinato, affidandosi esclusivamente ai missili.
Un pilota di un Phantom, però, aveva poche possibilità per usare appieno il suo velivolo “tutto missili”: la capacità dell’Aim-7 Sparrow, ad esempio, di operare al di la della linea di vista, era quasi inutilizzabile nei cieli del Vietnam del Nord, perché questi erano talmente affollati di aerei “amici” (e di nemici) che era praticamente impossibile utilizzarli in sicurezza e pertanto raramente i piloti Usa vennero autorizzati a spararli. La minaccia dei Mig nordvietnamiti sembrava impossibile da eliminare, anche in considerazione del fatto che ai piloti Usa era stato espressamente vietato bombardare gli aeroporti nemici.
L’idea di Olds
Così a un pilota veterano dell’Usaf, il colonello Robin Olds, viene un’idea. “Nel novembre del 1966 mi convinsi che bisognava fare qualcosa” ricorda Olds “per cui mi rivolsi al comandante della Settima forza aerea, il generale Momyer, con il suggerimento di lasciarmi sviluppare le mie idee. Non ebbi alcuna risposta, però qualche giorno dopo mi convocò a Saigon. Gli esposi le mie ragioni e le mie idee, e mi diede il via libera”.
Era nata l’Operazione Bol. Olds si affida a un suo vecchio amico per pianificarla, il generale Donovan Smith, che gli suggerisce di organizzare una missione “anti Mig” utilizzando l’Ottavo stormo caccia tattici e simulando la velocità di li folittà v 10 trarre in inganno i nordvietnamiti.
Olds arriva il 30 settembre del 1966 a Ubon per assumere il commando dell’Ottavo stormo, che volava con gli F-4C, e sceglie due giovani piloti (i capitani John Stone e Ralph Watterhahn) per aiutarlo a studiare le rotte e la sincronizzazione. Insieme provano e riprovano meticolosamente quella che sarà la missione: si alternano nel ruolo di addetto radar nordista, di capo della rete difensiva di Hanoi, del comandante della formazione americana di attacco per riuscire a individosti tempi di cone dione sufficient , i ritardi, la soluzione dei problemi, insomma un lavoro minuzioso e lungo per non lasciare nulla al caso.
Mig contro Phantom
Il 2 gennaio del 1967, dopo settimane di preparazione in assoluta segretezza, l’Operazione Bolo prende il via. Olds comanda direttamente 14 squadriglie di F-4C Phantom, altre sei di EF-105F “Wild Weasel” attrezzati per distruggere a terra i missili terra-aria nordvietnamiti, e quattro di F-104C “Starfighter” di supporto.
All’alba di quel giorno di gennaio, tutti gli aerei, in formazione, distanziati e utilizzando i nominativi radio usati di solito dai Thud, decollano e fanno rotta verso nord. Ogni Phantom è allestito con una configurazione asimmetrica: da un lato un serbatoio supplementare, dall’altra una gondola Ecm solitamente usata dai Thunderchief, più un serbatoio ventrale e un armamento composto da quattro Aim-9 Sidewinder e quattro Aim-7 Sparrow.
La prima ondata, formata da tre squadriglie (nominativi Olds, Ford, Rambler), è comandata direttamente dal colonnello, e mentre vira sopra Phuc Yen, base di Mig oltre che deposito di prodotti petroliferi, a Olds viene comunicato che alcuni Mig-21 decollando su allarme per intercettarlo, mentre altri, nello stesso tempo, stavano sbucando dalla coltre di foschia che copriva il Vietnam del Nord: la trappola aveva funzionato.
La battaglia area infuria immediatamente, prima ancora che la seconda ondata di F-4 possa sopraggiungere: i combattimenti, a distanza media e ravvicinata, sono violent i piloti americani cercano di spremere il meglio dai loro Phantom. Più di un missile lanciato non colpisce il bersaglio evidenziando, ancora una volta, come sarebbe stato molto più utile avere un cannone montato sull’F-4 invece di soli missili. Tutto si consuma in pochi, ma interminabili minuti, alla fine dei quali sono ben sette i Mig-21 nordvietnamiti a venire abbattuti dai caccia americani.
Una vittoria illusoria
L’Operazione Bolo si era conclusa con una netta vittoria statunitense. Nessun F-4 venne abbattuto quel giorno, ma la missione ha avuto un costo enorme dal punto di vista delle risorse impiegate: oltre ai caccia già elencati, era stato richiesto l’intervento di aerei da Early Warning EC-121, di piattaforme da guerra elettronica EB-66, di F-4C provenienti da altri stormi in support nonché la mobilitazione di un’infinità di forze di soccorso che erano state tenute in allarme: per appoggiare la missione erano stati fatti decollare almeno 96 aerei.
Quella mattina vennero lanciati 28 missili aria-aria, sedici dei quali mancarono il bersaglio. Un prezzo enorme per soli sette Mig. Alla fine del conflitto il totale dei Mig di Hanoi abbattuti sarà di 57, mentre la cifra complessiva di velivoli distrutti sarà di 196 contro gli 89 caccia americani andati perduti: un rapporto che sembra favorevole agli Stati Uniti e fuppure compreio il success dopo l’importanza dell’addestramento al combattimento aereo manovrato e del cannone.
In ogni caso quei pochi Mig cancellati dai registri nordvietnamiti quel giorno di gennaio del 1967 consentirono, per qualche tempo, agli stati uniti di ottenere una netta superiorità aerea e così aprire la strada per il proseguimento della campagna di bombardamento sul Nord, che continuò sino sino al bre ender quanner 1968 sonto , nel 1972, con l’operazione Linebacker II, ma questa è un’altra storia.
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